Come recedere da un contratto ADSL e fibra: costi, tempi, diritti del cliente
Scegliere di recedere da un contratto per l’ADSL o la fibra ottica è una pratica piuttosto comune, visto che sono diverse le occasioni per cui un utente può ritenere che sia necessario cambiare il servizio, o rinunciarci del tutto: ad esempio quando le velocità riscontrate di download e di upload non rispettano quanto dichiarato dall’operatore, o semplicemente perché si viene a conoscenza di un’offerta più conveniente con un altro fornitore.
Ancora, si recede dal contratto in caso di decesso del titolare, di trasferimento all’estero e così via.
La disciplina giuridica dei vari casi subisce continui aggiornamenti, vista la frequenza di queste situazioni; cruciale in questo senso è il ruolo dell’autorità garante, l’Agcom.
Negli anni recenti, infatti, si è più volte riscontrata la pratica di imporre al cliente dei costi di recesso e di disdetta non proporzionali al valore del contratto, fenomeno a cui l’Authority ha voluto mettere un freno con delibere specifiche.
Quando si recede dal contratto
Sono previste tre diverse tipologie per il recesso da un contratto ADSL o fibra ottica:
- la disdetta, o recesso che può essere richiesto quando il contratto con l’operatore (di norma con una durata massima di 24 mesi) scade e si decide di non rinnovarlo;
- il recesso anticipato, quando si sceglie di recedere dal contratto anche se la sua durata naturale non è ancora giunta a compimento;
- la migrazione a un altro operatore, che può seguire sia la disdetta che il recesso anticipato e di norma viene gestito direttamente dal nuovo fornitore.
Il recesso è una facoltà che non ha vincoli temporali, pertanto il cliente la può richiedere in qualsiasi momento, anche se con un preavviso che non può essere però superiore a 30 giorni.
L’operatore è tenuto a informare l’utente del lasso temporale necessario per il compimento di tutti gli adempimenti necessari per la lavorazione della richiesta di disattivazione o di trasferimento, in modo da poterne valutare l’opportunità (soprattutto se il rischio è quello di rimanere del tutto senza connessione per un certo periodo di tempo, più o meno lungo).
La durata massima di questo lasso temporale ammonta a 30 giorni, che coincidono con il termine previsto per il preavviso.
La natura delle spese per il recesso affrontate dall’operatore, e che nei termini detti più avanti potranno poi essere richieste al cliente, è triplice:
- da una parte i costi effettivamente sostenuti dall’operatore per dismettere o trasferire l’utenza;
- le spese per la restituzione totale o parziale degli sconti sui servizi e sui prodotti;
- il pagamento delle rate residue relative ai servizi e ai prodotti offerti congiuntamente al servizio principale, come ad esempio l’acquisto di un modem per la connessione oppure di uno smartphone a rate (è il caso, ad esempio, delle offerte congiunte che uniscono la telefonia fissa a quella mobile, con minuti di conversazione e GB di traffico dati).
Cosa si paga con la disdetta a contratto scaduto
Nel primo caso descritto – la disdetta quando il contratto è ormai scaduto – non si pagano penali, ma gli operatori impongono il pagamento di costi di pratica, sia per la cessazione della linea telefonica che per il passaggio a un altro provider.
Con la delibera 487/18/Cons, valida da gennaio 2019, l’Autorità garante per la comunicazione ha sancito però la misura da seguire nel definire tali costi, valutando «il “valore del contratto” come il prezzo implicito che risulta dalla media dei canoni che l’operatore si aspetta di riscuotere mensilmente da un utente che non recede dal contratto (almeno fino alla scadenza del primo impegno contrattuale che, come è noto, non può eccedere i 24 mesi).
Il valore del contratto così individuato rappresenta un limite alle spese che, anche se sostenute e giustificate, l’operatore può addebitare all’utente».
In altre parole, con la delibera, i costi di recesso richiesti dalla compagnia telefonica non possono superare il canone mensile medio applicato, annullando così la liceità dei costi elevati imposti dagli operatori in passato per disincentivare il recesso, anche quello anticipato.
Il risultato è che oggi, secondo l’analisi di SosTariffe.it, comparatore per il confronto di offerte fibra e ADSL, il costo per la cessazione della linea telefonica (una tantum) senza passaggio ad altro operatore si aggira intorno ai 57 euro di media per la fibra ottica (sia FTTH che FTTC), mentre per l’ADSL è di 61 euro, con una variabilità tra i 49 e i 70 euro.
In caso di passaggio ad altro operatore, invece, i costi calano sia per la fibra ottica FTTC che per quella FTTH (e quindi rispettivamente 43 e 42 euro), così come per l’ADSL che scende a una media di 39 euro (valori tra i 35 e i 56 euro).
Le penali per il recesso anticipato
Per quanto riguarda invece il recesso anticipato, è facoltà dell’operatore aggiungere penali, anche se, come si è detto, in misura proporzionale al canone mensile medio; non è più necessario, quindi, dover corrispondere cifre molto alte se si recede prima del tempo, come invece accadeva fino a pochi anni fa.
Sempre secondo l’analisi di SosTariffe.it, la penale per il recesso anticipato in media è di 18 euro per la fibra FTTC e di 21 euro per la fibra FTTH, mentre per l’ADSL è intorno agli 11 euro.
I costi per la restituzione degli sconti
Non si deve dunque pagare altro, quando si effettua il cosiddetto “switching” da un operatore all’altro o si chiude una volta per tutte la propria linea telefonica? Non proprio.
Una pratica molto comune è infatti quella di offrire tariffe promozionali molto convenienti ai nuovi clienti per invogliarli a stipulare il contratto, precisando però che queste occasioni speciali (di solito, un canone mensile più basso rispetto al normale o i costi di attivazione a zero) sono valide soltanto per chi non recede anticipatamente dal contratto (il limite massimo per un’offerta promozionale di questo genere è 24 mesi).
Se quindi si effettua il recesso anticipato con una di queste offerte, il risultato è che l’operatore potrà chiedere indietro gli “sconti” che sono stati praticati al nuovo utente.
Sempre secondo la citata delibera Agcom (VI, 26), che fa riferimento alle modifiche introdotte recentemente dalla Legge Concorrenza, anche in questo caso «le spese di recesso […] devono essere eque e proporzionate al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta (così come stabilito dall’articolo 1, comma 3-ter, del Decreto).
Quindi, anche nel caso in cui le spese di recesso relative alla restituzione degli sconti rispecchino i costi sottostanti, questi importi devono, in ogni caso, essere commisurati al valore del contratto nonché essere equi e proporzionali alla durata residua dell’eventuale promozione».
La disciplina per il modem
Un’altra questione riguarda i dispositivi che spesso vengono inclusi nelle offerte, come i modem, fermo restando che secondo la delibera 348/18/CONS dell’Agcom (detta “del modem libero”), gli utenti non sono più obbligati a utilizzare il modem router delle compagnie telefoniche, e quindi gli operatori non potranno ostacolare in alcun modo la volontà dei propri clienti di utilizzare apparati differenti da quelli proposti in fase contrattuale (per questo motivo ogni fornitore del servizio deve includere informazioni chiare per il collegamento di altri apparati di proprietà dell’utente, ad esempio perché già posseduti in seguito a una precedente offerte ADSL o fibra ottica o acquistati per garantirsi specifiche caratteristiche).
Chi invece ha già acquistato un modem router dall’operatore utilizzando la forma (obbligatoria fino a qualche mese fa ma molto diffusa anche oggi) del pagamento a rate, ha la possibilità di scegliere se saldare in un’unica soluzione la cifra mancante oppure continuare a pagare le rate residue.
Stesso discorso per la rateizzazione dei servizi, come i servizi di attivazione e i servizi accessori; sempre secondo l’Agcom (487/18/Cons, VII, 33) «anche la durata delle dette rateizzazioni non può eccedere tale termine al fine di non vincolare il cliente oltre il termine di legge».
Le informazioni su tempi e costi
Gli operatori sono sempre tenuti a rendere noti i termini delle loro offerte, in modo da dare la piena libertà ai clienti di decidere se rimanere o meno tali oppure passare a un altro operatore.
Al momento della pubblicizzazione dell’offerta, devono essere chiaramente indicate tutte le spese relative al recesso o al trasferimento dell’utenza, comprese le spese imputate dall’operatore a fronte dei costi realmente sostenuti per provvedere alle operazioni di dismissione e trasferimento della linea, le spese relative alla restituzione degli sconti e le spese relative al pagamento in una o più soluzioni delle rate relative alla compravendita di beni e servizi offerti congiuntamente al servizio principale.
In più, sempre secondo la delibera 487/18/Cons, VII, 36, «in fase di sottoscrizione del contratto gli operatori devono rendere note, verbalmente e attraverso idonea informativa – chiara e sintetica – da allegare al contratto, tutte le spese che l’utente dovrà sostenere in corrispondenza di ogni mese in cui il recesso potrebbe essere esercitato».
Il diritto di ripensamento
Da ricordare inoltre che, come tutti i contratti, anche quelli per gli abbonamenti a Internet effettuati a distanza o fuori dai locali commerciali prevedono il diritto di ripensamento secondo la legge 52 del codice del consumo: il cliente infatti può avvalersi, entro 14 giorni dall’attivazione del servizio (o dalla consegna dei beni acquistati presso il domicilio), della possibilità di retrocedere dal contratto senza penali, semplicemente inviando all’operatore una raccomandata A/R ai recapiti forniti e di solito rintracciabili sul sito del fornitore. In alternativa, la PEC ha lo stesso valore legale della raccomandata.